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Mumbai e Delhi, due stupri e un tabù

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E’ tornata a casa fisicamente guarita la fotogiornalista indiana stuprata in una fabbrica abbandonata nel centro di Mumbai. Di lei non sappiamo il nome ma, da quanto ha detto, psicologicamente sembra abbastanza forte da essere pronta prima o poi a riprendere la sua professione e la vita di prima. Anche se non sarà mai più davvero la stessa. “Essere stuprata non è la fine della vita”, ha dichiarato a un collega. Poi ha aggiunto: “Voglio severe punizioni per tutti gli imputati e poi riprendere il mio lavoro al più presto possibile”.

La cronista 22enne lavora per la testata in lingua inglese Time Out, molto popolare soprattutto per le rubriche di vita cittadina metropolitana e intrattenimento. Il suo compito quel giorno – almeno ufficialmente – era fotografare e raccogliere informazioni sull’area di una vecchia fabbrica chiamata Shakti, termine mistico dal sanscrito per descrivere l’energia femminile, la fertilità e la dèa madre. Difficile dire se i suoi cinque assalitori, tutti identificati e arrestati, abbiano una minima conoscenza delle coincidenze linguistiche associate al luogo dove hanno commesso il loro abietto crimine. Alcuni erano musulmani e altri hindu, e di certo sappiamo che vengono da slum malfamati come Mumbra, Vashi, Diwa, Nalasopara, nell’area attorno alla fabbrica e alla ferrovia di Mahalaxmi, dal nome della dèa della ricchezza e della bellezza.

Uno degli stupratori di Mumbai (foto AFP/Punit Paranjpe)

Uno degli stupratori di Mumbai (foto AFP/Punit Paranjpe)

Di loro i vicini dicono che erano spesso alcolizzati o drogati – ma non durante lo stupro a quanto pare – giocavano a carte e talvolta dormivano in strada. Due di loro hanno anche precedenti per furto. Solo uno, arrestato nel quartiere dei lavandai di Dhobi Ghat, aveva un lavoro regolare.

Da uno slum venivano anche i sei aguzzini della ragazza che fu violentata e uccisa a bordo di un autobus della capitale New Delhi appena 9 mesi fa. Forse quest’analogia puo’ essere influente per capire un certo contesto, ma il fenomeno appare talmente vasto in tutto il Continente da comprendere parecchie categorie diverse di esecutori e vittime.

La piaga delle violenze sessuali non è del resto una novità di questi ultimi mesi, anche se ora se ne parla come non mai, né solo indiana. Ma le statistiche registrate nel Paese sembrano segnalare una inedita tendenza in crescita. In tutta l’India, secondo dati del National Crime Records Bureau, i casi denunciati sono stati 24.923 nel solo scorso anno, concluso a dicembre con il più clamoroso di tutti, lo stupro di gruppo sul bus di New Delhi e la morte di una studentessa di 23 anni, divenuta il simbolo di tutte le donne in pericolo.

L’altra novità inquietante emersa dalle statistiche è che l’ondata di proteste in tutto il Paese e l’impennata di orgoglio che ha portato a leggi più severe dopo il sacrificio della studentessa, ha avuto una conseguenza forse imprevista: nei primi tre mesi e mezzo di quest’anno c’è stato nella stessa Delhi un incremento dei casi di violenza sessuale denunciati, proprio mentre cresceva il tam tam dei media. Secondo la polizia le vittime di stupri che hanno testimoniato a verbalizzato a Delhi  sono state in questi mesi 463 contro le 179 dello stesso periodo nel 2012. In un solo mese preso in esame con i raffronti del 2011, la percentuale è passata a 30,33 casi in più, dal 19,25 del 2011-2012.

E’ un dato complessivo sociologicamente importante da approfondire per capire eventualmente se l’aumento è dovuto proprio alla presa di coscienza collettiva, e quindi a una maggiore disponibilità delle vittime a rivolgersi alla forza pubblica (in passato nelle stazioni di polizia avvenivano veri e propri interrogatori psicologicamente devastanti per le vittime, mentre oggi con la nuova legge sono delle agenti donne a raccogliere le denunce). Oppure se effettivamente ad essere aumentati sono i casi effettivi. Tendenzialmente è più attendibile la prima ipotesi, visto che da sempre le organizzazioni femminili dei diritti umani parlano di migliaia di stupri non denunciati, a cominciare dalle aree rurali e nelle stesse famiglie dove padri, fratelli e cugini abusano di bambine e adulte nella totale omertà. Inoltre i media indiani hanno la tendenza a occuparsi ampiamente degli abusi sessuali quando le vittime appartengono alla classe media, come nel caso della studentessa di Delhi e della giornalista di Mumbai, ma molto più raramente se si tratta di giovani dalit e fuoricasta dei villaggi.

La fabbrica dismessa dov'è avvonuto lo stupro (foto PTI)

La fabbrica dismessa dov'è avvenuto lo stupro (foto PTI)

Se Delhi si conferma per la statistiche la capitale delle violenze sessuali, la più moderna e sviluppata Mumbai, capitale commerciale dov’è avvenuto l’ultimo caso clamoroso, non è pero’ molto più sicura, come vantano invece parte dei media e i politici locali al governo. I dati parlano di uno stupro denunciato alla polizia ogni giorno tra gennaio e marzo di quest’anno. http://edition.cnn.com/2013/08/23/world/asia/india-mumbai-photographer-gangrape, Secondo il National Crime Records Bureau, lo scorso anno gli episodi furono 221, ben pochi dei quali risolti con l’arresto dei colpevoli.

Anche la vicenda della giovane fotoreporter offre da sola diversi spunti importanti per capire certe tendenze e cause secondarie del rigurgito delle violenze. Quello di fotoreporter è notoriamente un mestiere talvolta rischioso, non solo a Mumbai, una città ad alta densità criminale oltre che abitativa. La ragazza che lavorava a tempo pieno per il settimanale, si è recata nel luogo dove ha subito lo stupro assieme a un collega. E’ l’area abbandonata di una fabbrica dismessa, ma è in pieno centro, circondata da boscaglia e quartieri ghetto malfamati.

La storia per la quale era stata incaricata la cronista, aveva poco a che fare con il degrado umano di quest’area, tra le stazioni ferroviarie di Mahalaxmi e Lower Parel. Alcune fonti sostengono che la ragazza si trovava lì con il collega per fare sesso, e non per lavoro. Ma questo non cambia di una virgola la gravità del fatto.

Nella sua deposizione, riportata da “Dna India” http://www.dnaindia.com/mumbai/1880414/report-dna-exclusive-account-of-the-hellish-evening-when-mumbai-gang-rape-happened, la ragazza ha spiegato di essersi recata sul posto dopo l’orario di lavoro su incarico di un caporedattore fotografico. Presto sono stati avvicinati da due uomini mentre cercavano la via d’accesso alla fabbrica abbandonata. La coppia li ha accompagnati all’interno, ma poi si sono aggiunti altri tre uomini, che – spacciandosi per funzionari delle Ferrovie – hanno accusato il suo compagno di un presunto delitto avvenuto in quella zona. La giovane ha allora telefonato al caporedattore ma la linea era occupata. Poco dopo è stata richiamata e lo ha informato delle minacce, ricevendo il consiglio di allontanarsi subito. Ma appena chiuso il cellulare, l’uomo è stato legato con una cinta e lei trascinata da sola in una stanza della ex fabbrica, dove ha ricevuto una chiamata da sua madre. Sotto la minaccia di una bottiglia scheggiata, la giovane è stata costretta a dirle che andava tutto bene, poi le hanno tolto il telefono e l’hanno violentata a turno, prima di andarsene lasciandola semisvenuta.

Gli identikit degli stupratori

Gli identikit degli stupratori

La polizia, grazie alla deposizione della vittima ricoverata in ospedale per lesioni interne e del suo collega, è risalita subito a uno del branco, che ha confessato indicando i nomi e i volti degli altri, individuati e arrestati uno per uno sia a Mumbai che in altre città anche grazie ai loro identikit somiglianti.

E’ stato quando l’eco della brutta storia di cronaca stava già per affievolirsi che il caso di Mumbai  è tornato a far parlare di sé, con una dichiarazione rilasciata dal capo della polizia di Mumbai Satyapal Singh, resp0nsabile delle indagini. In sostanza ha detto che i residenti della città scandalizzati dallo stupro della giornalista devono scegliere tra una “cultura promiscua”, che permette il bacio in pubblico, o una città “resa sicura” dalla “politica morale”. “Da un lato – ha detto testualmente – volete una cultura promiscua e dall’altro un ambiente sicuro per la gente”, lasciando intendere che le due cose non sono compatibili. Forse, si riferiva proprio al fatto che la vittima si era recata in quel posto per un po’ di rischiosa intimità.

Da qui la rabbia e il  disappunto nelle reazioni e nei commenti di molti blogger e personalità cittadine, con il ricordo ancora vivo di altre dichiarazioni analoghe e anche più estreme rilasciate all’indomani dello stupro di Delhi. Un “santone” hindu di nome Aasaram Bapu– oggi accusato a sua volta di tentato assalto sessuale alla figlia sedicenne di una delle sue discepole –  giunse a dire che la ragazza violentata sul bus avebbe dovuto chiedere “pietà” ai suoi stupratori, e non reagire con rabbia e arroganza. Non fu il solo a rilasciare dichiarazioni considerate oltraggiose da ogni persona di buon senso. Altri esponenti di movimenti religiosi fondamentalisti come Mohan Bhagwat, capo del potente Rashtriya Swayamsevak Sangh, o RSS, giunsero a dire che nell’India antica e rurale, allora chiamata Bharat, i casi di violenza erano inesistenti. Dove invece “Bharat diventa India con l’influenza della cultura occidentale – ha spiegato – questo tipo di incidenti accade”.

Per scoprire quanto ci sia di falso in questa asserzione storica basta leggere un breve articolo di Kancha Ilaiah, avuto intellettuale e scrittore celebre per i suoi ritratti della società delle caste induista e dei suoi tabù http://www.deccanchronicle.com/130510/commentary-columnists/commentary/roots-rape-india. Per il resto, le dichiarazioni dove si attribuiscono alle donne o ai tempi moderni gli istinti violenti dei maschi e del branco, non sembrano altro che ulteriori manifestazioni di impotenza di una società incapace di osservarsi allo specchio. Ma questo, sì, sarebbe un discorso troppo lungo e richiederebbe una riflessione ben oltre i confini dell’India.


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